Nessuna nazione europea può considerarsi scevra da colpe per quanto riguarda la “soluzione finale”, quel folle disegno criminale che ha portato il regime nazista all’eliminazione sistematica di sei milioni di ebrei, nonché di oppositori politici, partigiani, disabili, omosessuali, testimoni di Geova, zingari.
Anche l’Italia ha le sue atroci responsabilità e la Risiera di San Sabba, nell'omonimo quartiere triestino, è uno di quei luoghi che continuano a ricordarcelo, tanto che, ormai nel lontano aprile del 1965, il presidente della repubblica Giuseppe Saragat dichiarò l'ex pileria monumento nazionale, quale “unico esempio di lager nazista in Italia”.
Le origini della Risiera e l'evoluzione
Costruita nel 1898 alla periferia sud di Trieste, come stabilimento per la pilatura del riso, la Risiera fu trasformata inizialmente in un campo di prigionia provvisorio per i militari italiani catturati dopo l’armistizio dell’8 settembre, e denominata Stalag 339.
Al termine dell'ottobre 1943, la costruzione dai mattoni rossi diviene Polizeihaflager, campo di detenzione politica, utilizzato come centro di raccolta dei detenuti in attesa di essere deportati nei più “efficienti” campi di Germania e Polonia e come deposito dei beni sequestrati a deportati e condannati a morte.
Il progetto del Museo Civico di Romano Boico
L'ingresso alla Risiera è stretto e in cemento armato, frutto di un progetto del 1975, firmato dall'architetto Romano Boico che ha messo mano a tutti gli edifici nell'intento, da un lato di restituirne l'atmosfera originaria, dall'altro di inchiodarci al nostro senso di responsabilità.Queste le sue parole: “La Risiera semidistrutta dai nazisti in fuga era squallida come l’intorno periferico, pensai allora che questo squallore totale potesse assurgere a simbolo e monumentalizzarsi. Mi sono proposto di togliere e restituire, più che di aggiungere. Eliminati gli edifici in rovina ho perimetrato il contesto con mura cementizie alte undici metri, articolate in modo da configurare un ingresso inquietante nello stesso luogo dell’ingresso esistente. Il cortile cintato si identifica, nell’intenzione, quale una basilica laica a cielo libero. L’edificio dei prigionieri è completamente svuotato e le strutture lignee portanti scarnite di quel tanto che è parso necessario”.
La struttura della Risiera di San Sabba
Al pianterreno dell'edificio a tre piani, in cui erano sistemati i laboratori di sartoria e calzoleria, dove venivano impiegati i prigionieri, nonché le camerate per gli ufficiali e i militari delle SS, vi erano 17 micro-celle in ciascuna delle quali venivano ristretti fino a sei prigionieri. Questi spazi angusti erano riservati in particolare a partigiani, oppositori politici ed ebrei, la cui eliminazione era prevista a distanza di giorni, e talora di settimane.
Le prime due celle venivano usate a fini di tortura o di raccolta di materiale prelevato ai prigionieri, qui sono stati rinvenuti migliaia di documenti d'identità sequestrati a detenuti e deportati.
Il fabbricato centrale, di sei piani, aveva la funzione di caserma per le SS tedesche e per gli italiani impiegati in Risiera con funzioni di sorveglianza. Le cucine e la mensa si trovavano al piano inferiore, ora adattato a Museo. L’edificio, oggi adibito al culto, senza differenziazione di credo religioso, al tempo dell’occupazione serviva da autorimessa per i mezzi delle SS. Qui stazionavano anche i furgoni, con lo scarico collegato all’interno dell'edificio, usati, secondo le testimonianze dei sopravvissuti, per la gassazione delle vittime.
Nell'adiacente edificio a quattro piani venivano rinchiusi, in ampie camerate, i detenuti destinati alla deportazione nei campi del nord Europa, si trattava di uomini e donne di tutte le età ma anche di bambini di pochi mesi. Da qui finivano a Dachau, Auschwitz, Mauthausen, verso un tragico destino che solo in pochi hanno evitato.
Nel cortile interno, di fronte alle celle, sull'area oggi contrassegnata da una piastra metallica, c'era l'edificio destinato alle eliminazioni - la cui sagoma è ancora visibile sul fabbricato centrale - con il forno crematorio. L’impianto, al quale si accedeva scendendo una scala, era interrato. Un canale sotterraneo univa il forno alla ciminiera. Qui oggi sorge una simbolica e moderna Pietà, segno della spirale di fumo che usciva dal camino.
Dopo essersi serviti, nel periodo gennaio - marzo 1944, del preesistente essicatoio, i nazisti, reputandolo insufficiente, lo trasformarono in forno crematorio secondo il progetto di Erwin Lambert, ingegnere che si era occupato di costruzioni simili in alcuni campi di sterminio nazisti polacchi. Questa nuova struttura venne collaudata il 4 aprile 1944 con la cremazione di settanta corpi di ostaggi fucilati il giorno prima nel poligono di Opicina.
La notte tra il 29 e 30 aprile del 1945, l’edificio del forno crematorio e la ciminiera vennero distrutti con la dinamite dai nazisti in fuga per eliminare le prove dei loro crimini.
Le esecuzioni nella Risiera
Sul tipo di uccisioni in uso nelle Risiera, le ipotesi sono diverse e probabilmente tutte fondate: gassazione con automezzi, colpo di mazza alla nuca o fucilazione. Non sempre le esecuzioni riuscivano alla perfezione, così il forno finì con l'ingoiare persone ancora vive. Fragore di motori, latrati di cani appositamente aizzati, musica a tutto volume, coprivano le grida delle esecuzioni.
Quante sono state le vittime?
Si pensa che abbiano trovato la morte qui tra le tremila e cinquemila persone, ma un numero ben maggiore sono stati i prigionieri da qui transitati e smistati nei lager europei. Triestini, friulani, istriani, sloveni e croati, militari, ebrei, bruciarono nella Risiera alcuni tra i migliori uomini della Resistenza e dell’Antifascismo.
Noi e la storia
Quando si visitano questa tipologia di luoghi ci si interroga sulla motivazione e sulla consapevolezza delle città silenti. Probabilmente tutti sapevano quello che succedeva a San Sabba, anche il vescovo di Trieste, il monsignor Santin, si spese per salvare alcune famiglie rinchiuse in risiera, con alterne fortune. Ma se questi edifici parlano del nostro atroce passato, non è vero che la storia poi dà sempre ragione.
Il breve processo del 1976, dove ben 60 tra associazioni, enti e singoli si sono costituiti parte civile, ha visto un solo colpevole, il comandante della Risiera, Joseph Oberhauser, condannato in contumacia per omicidio plurimo aggravato, ma che tuttavia non scontò mai la pena e rimase libero lavorando in una birreria di Monaco di Baviera fino alla morte, sopravvenuta solo 3 anni dopo. L'Italia non poté chiederne l’estradizione a causa degli accordi italo-tedeschi che la permettono solamente per i crimini commessi dopo il 1948.
La giustizia non ha trionfato dunque, e ancora una volta ha perso l'uomo, e abbiamo perso tutti noi.
Non ci resta che visitare questi luoghi e tenere viva la nostra memoria, quella di chi incontreremo e che, come in questo caso, forse ci leggeranno.
di Sara Rossi
www.risierasansabba.it