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Costituito a Modena il Consorzio Tutela Aceto Balsamico di Modena. La presentazione ufficiale del nuovo organismo è avvenuta alla Camera di Commercio alla presenza del Presidente della CCIAA di Modena Maurizio Torreggiani, del VicePresidente di AICIG e Direttore del Consorzio Grana Padano Stefano Berni, del Presidente del Consorzio Filiera Aceto Balsamico di Modena Sabrina Federzoni, del Presidente del Consorzio Aceto Balsamico di Modena Mariangela Grosoli, del Direttore di AICIG Piermaria Saccani, di Roberta Chiarini della Direzione Generale Agricoltura della Regione Emilia Romagna e di Alessandra D’Arrigo del MIPAAF.
Il neonato Consorzio, che conta 50 associati rappresentativi di oltre il 98% dell’intera produzione, come primo atto formale ha nominato il nuovo Consiglio di amministrazione - composto da Mariangela Grosoli e Sabrina Federzoni, Giovanni Carandini, Armando De Nigris, Angelo Giacobazzi, Cesare Mazzetti, Giacomo Ponti, Enrico Zini e Stefano Berni – il quale a sua volta ha provveduto come primo atto ufficiale alla nomina del Presidente del Consorzio, individuato nella persona del consigliere Stefano Berni, attualmente anche direttore del Consorzio di tutela del Grana Padano.
“Il Consorzio di Tutela dell’Aceto Balsamico di Modena ha due mission – ha commentato il neopresidente Berni (foto) – ovvero la tutela e la garanzia di reddito a tutte le imprese della filiera. Un prodotto DOP e IGP ha senso di esistere solo se sa valorizzare la materia prima e il suo processo di trasformazione e questo è l’elemento fondante e istitutivo con cui la UE ha attivato il sistema dei prodotti certificati. Il Consiglio di Amministrazione farà il possibile affinché il nuovo Consorzio possa funzionare al meglio, alimentato dall’entusiasmo di tutti al fine di garantire la massima efficienza”.
I dati del settore pongono l’Aceto Balsamico di Modena ai vertici della classifica dei prodotti italiani DOP e IGP e tra i vanti dell’agroalimentare italiano nel mondo: il volume produttivo è superiore a 90 milioni di litri, la quota di esportazione pari circa al 90% ed il valore di mercato supera i 600 milioni di euro.
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Nel 2013, sesto anno di crisi economica, gli italiani hanno bevuto meno vino in quantità, cercando contemporaneamente sia la qualità che il risparmio. Si sono orientati sulle bottiglie “doc” ed hanno iniziato ad apprezzare il vino biologico, ma si sono spostati anche su formati meno costosi come quello del vino da tavola ed il vino con la marca del distributore, cioè del supermercato stesso. I vini bianchi crescono più dei rossi ed i frizzanti vanno meglio dei fermi; spumante italiano e prosecco sono sempre più acquistati. Questo il quadro emerge dalla ricerca svolta dall’IRI per Vinitaly 2014 (a Verona dal 6 al 9 aprile) sulle vendite di vino nei supermercati, un canale che distribuisce circa il 63% del vino.
“L’indagine sugli acquisti di vino nella grande distribuzione che Vinitaly commissiona ormai da 10 anni - rileva Giovanni Mantovani, Direttore generale di Veronafiere - conferma una tendenza che si può riassumere in una maggiore consapevolezza della qualità e soprattutto del giusto rapporto qualità/prezzo da parte del consumatore medio quando deve scegliere. Questo richiede alla grande distribuzione una maggiore attenzione nella proposta, che deve essere anche in grado di assecondare le nuove richieste, come quella dei vini biologici”.
La grande distribuzione ha venduto, nel 2013, 517 milioni di litri di vino confezionato per un valore di 1 miliardo e mezzo di euro, con una sensibile flessione in volume del 6,5% rispetto all’anno precedente (nel 2012 era stata del 3,6%), certamente condizionata dal sensibile aumento dei prezzi: + 10,2% al litro, tanto che le vendite in valore fanno segnare un + 3,1% .
Il formato più venduto nel 2013 rimane quello delle bottiglie da 75cl a denominazione d’origine (Doc, Docg e Igt) che nel 2013 ha fatto registrare un volume di oltre 213 milioni di litri per un valore di quasi 1 miliardo di euro. Questo formato ha subito nel 2013 una flessione del 3,2%, calo sensibile ma pur sempre minore del - 3,5% del 2012, risultato più apprezzabile se si considera l’aumento di prezzo del 5,6% in un anno che ha portato il prezzo medio della bottiglia a 4,5 euro.
Il formato che presenta invece un drastico calo è quello del vino in brik, le cui vendite scendono nel 2013 del 9,4%, influenzate da un aumento di prezzo del 20,5%. Resiste invece il tradizionale vino da tavola in bottiglia da 75cl, sostanzialmente stabile con una lieve flessione a volume dello 0,3%, che diviene di fatto il formato più performante del 2013.
Sul fronte della ricerca della qualità da parte dei consumatori, va segnalata la crescita del 4% in volume delle vendite di vini biologici nei supermercati, con 1 milione di litri venduti per un valore di 5 milioni di euro.
Qualità a prezzo contenuto sembra essere il segreto del successo dei vini a marca del distributore (o marca privata), dunque commercializzati direttamente dalle insegne della grande distribuzione spesso con marchi di fantasia, che nel solo comparto delle bottiglie a 75cl vende quasi 16 milioni di litri e tiene le posizioni, nonostante la crisi dei consumi.
Da sottolineare infine le vendite del vino “bag in box”, cioè di quelle confezioni da 3 litri di vino conservato senza ossigeno spillabile dal rubinetto: nel 2013 sono stati venduti 9 milioni di litri per 15 milioni di euro. Nonostante una flessione del 3,1% in volume nel 2013, diversi esperti ritengono che il futuro di questo formato potrebbe essere roseo per la sua evidente praticità.
E quali sono i vini più amati dagli italiani? La classifica elaborata da IRI per Vinitaly 2014 presenta delle conferme con interessanti sorprese se si analizzano i tassi di crescita.
I vini più venduti in assoluto sono: Chianti, Lambrusco, Vermentino, Barbera, Bonarda, Montepulciano d’Abruzzo, Nero d’Avola, Muller Thurgau, Morellino, Dolcetto.
Tra i vini emergenti, cioè quelli con il maggiore tasso di crescita troviamo il sorprendente exploit del Pignoletto e del Cannonau, il primo sospinto da una presenza sempre maggiore sugli scaffali di tutta Italia ed il secondo favorito anche da una considerevole spinta promozionale. In questa particolare classifica troviamo anche il Prosecco, il Vermentino (che non a caso compare nella top ten dei vini più venduti in assoluto), il Pecorino, l’Aglianico e altri.
La ricerca completa dell’IRI verrà presentata al tradizionale convegno su vino e grande distribuzione organizzato da Vinitaly il 7 aprile cui parteciperanno: Federdistribuzione, l’associazione della maggioranza delle imprese della grande distribuzione, Coop, Conad, Federvini, Unione Italiana Vini, Eataly. In quella occasione sarà commentata la ricerca IRI e verranno presentate idee e proposte per stimolare il mercato interno e quello estero.
Un primo commento all’andamento del mercato nel 2013 viene dall’IRI e da Federdistribuzione.
“Negli ultimi mesi del 2013 abbiamo assistito a un rallentamento nel calo delle vendite di vino - ha spiegato Virgilio Romano, Client Service Director IRI - che ci fa ben sperare per l’anno in corso. Nel 2013 abbiamo scontato anche una delle vendemmie meno generose degli ultimi anni (quella del 2012) che ha causato un aumento dei prezzi che riversato sul prodotto ha notevolmente rallentato gli acquisti. Inoltre sta cambiando il comportamento dei consumatori: non hanno un atteggiamento passivo e di fronte alle variazioni nei prezzi cercano di mantenere il proprio carrello della spesa sui livelli dell’anno precedente, attraverso scelte sempre più attente e oculate”.
Analisi condivisa da Federdistribuzione il cui rappresentante a Vinitaly 2014, Alberto Miraglia, Direttore Marketing di Auchan, fornisce indicazioni per il mercato nazionale e quello estero: “Difronte alla crisi, le imprese della grande distribuzione hanno incrementato la leva promozionale, fino al 51,3% registrato nel 2013 sulle bottiglie doc; ma oltre non si può andare perché i margini sono già troppo erosi. Cercheremo quindi di diversificare, puntando ancor di più sulla marca del distributore, dando attenzione a produzioni come quella del vino biologico e sviluppando ulteriormente la presenza di piccoli produttori legati al territorio”.
“Poi c’è il discorso dell’export - ha proseguito Miraglia - ci sono insegne che portano il vino italiano nei propri punti vendita internazionali, promuovendolo con manifestazioni specifiche o inserendolo regolarmente nell’assortimento; altre che favoriscono il prodotto nazionale sfruttando rapporti consociativi con catene distributive estere, incentivando rapporti diretti tra grande distribuzione straniera e cantine italiane, indicando cantine e prodotti interessanti da inserire nelle linee di vino di marca del distributore dell’insegna estera. Si delinea così uno scenario sempre più interessante per le cantine italiane, anche di medie proporzioni”.
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Il Gorgonzola, prodotto D.O.P.
La qualità e l’autenticità del GORGONZOLA, inserito nella lista dei prodotti D.O.P. dal 1996, sono assicurate da una severa legislazione che definisce la zona geografica per la raccolta del latte e la stagionatura, oltre agli standard di produzione.
Forse non tutti sanno che solo il latte degli allevamenti bovini delle provincie di Novara, Vercelli, Cuneo, Biella, Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Lecco, Lodi, Milano, Monza, Pavia e Varese, Verbano-Cusio-Ossola e il territorio di Casale Monferrato può essere utilizzato per produrre il gorgonzola conferendogli la denominazione d’origine protetta.
Ogni forma di gorgonzola deve essere poi marchiata all’origine e riportare sempre l’indicazione caseificio in cui è stata prodotta. Perché possa essere venduto come tale, il gorgonzola D.O.P. deve essere avvolto in fogli di alluminio recanti la del Consorzio senza la quale il formaggio semplicemente non è gorgonzola!
Il consorzio
Il Consorzio per la tutela del formaggio Gorgonzola è stato creato nel 1970 ed ha sede a Novara. E’ un ente senza fini di lucro che raggruppa 40 caseifici che rappresentano il 100% della produzione globale. Il Consorzio, che dipende direttamente dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, ha il preciso scopo di vigilare sulla produzione e sul commercio del gorgonzola DOP e sull’utilizzo della sua denominazione al fine di tutelare produttori e consumatori. Il Consorzio promuove tutte le iniziative tese a salvaguardare la tipicità e le caratteristiche del gorgonzola preservandole da ogni abuso, concorrenza sleale, contraffazione, uso improprio della DOP e comportamenti illeciti. Inoltre, in collaborazione con le Università, gli Istituti di ricerca e gli Istituti Tecnici Lattiero-Caseari, il Consorzio promuove ricerche tecnico-scientifiche.
I Numeri
• Il gorgonzola è il 3° formaggio di latte vaccino per importanza nel panorama dei formaggi DOP italiani, dopo i due grana
• 4.175.610 di forme è stata la produzione globale di gorgonzola nel 2013 da parte delle circa 3000 aziende agricole e 40 caseifici dislocati nel territorio consortile.
• 550 milioni di euro circa è il giro d’affari del gorgonzola al consumo oggi.
• In Italia le vendite si suddividono per il 65% nel nord-ovest, 19% nel nord-est, 9% nel sud e nelle isole e il 7% al centro.
• Il 31 % della produzione è destinato all’esportazione, prevalentemente nell’Unione Europea (con la Germania e la Francia che assorbono più del 50% dell’esportazione totale), ma anche negli Stati Uniti, in Canada e in Giappone, paese in cui il consumo di formaggi italiani è in forte crescita.
Le origini
Il formaggio gorgonzola prende il nome dall’omonima cittadina alle porte di Milano. La sua data di nascita non è certa, come accade per molti alimenti tradizionali, ma si fa risalire al Medioevo, intorno all’anno 879, più di undici secoli fa.
Inizialmente si chiamava 'stracchino di gorgonzola' con riferimento alle vacche 'stracche', ovvero stanche dopo la transumanza dalle zone alpine della Valsassina alla zona pianeggiante di Gorgonzola. Quest’area, grazie alle particolari condizioni climatiche e all’efficiente sistema di irrigazione, presentava pascoli stabili e foraggi di ottima qualità che favorivano la produzione di molto latte, ingrediente primario e indispensabile per produrre formaggio.
La produzione del gorgonzola comincia ad estendersi di pari passo con la canalizzazione delle risorse idriche e la costruzione dei navigli, completati intorno al 1500, nelle aree del Milanese, del Lodigiano e del Pavese. In questo modo il formaggio poteva essere velocemente trasportato a Milano, insieme agli altri prodotti alimentari, dove il commercio era più fiorente soprattutto in occasione delle fiere. Un’ulteriore condizione geografica favorevole del territorio era rappresentata dalle grotte naturali della Valsassina perfette per la maturazione del gorgonzola anche nei mesi estivi durante i quali solitamente la lavorazione si interrompeva.
Col tempo nel nome rimane solo la parola 'gorgonzola' e l’area di produzione si estende alla zona a cavallo tra Lombardia e Piemonte che comprende le provincie di Novara, Vercelli, Cuneo, Biella, Verbano-Cusio-Ossola e il territorio di Casale Monferrato per il Piemonte; Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Lecco, Lodi, Milano, Monza, Pavia e Varese per la Lombardia. Solo il latte appena munto degli allevamenti di queste provincie può oggi essere utilizzato per produrre il gorgonzola conferendogli la Denominazione di Origine Protetta (D.O.P.).
Vera svolta nella produzione del gorgonzola e dei formaggi in generale si ha nel 1860 con le prime strutture di stagionatura. Per volere dell’allora Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio vengono messi a punto, infatti, interventi per migliorare le competenze tecniche degli operatori e, di conseguenza, il livello tecnico-produttivo. Nel caso del gorgonzola questo significa essenzialmente la stagionatura nelle celle frigorifere.
Oggi come allora il latte di altissima qualità insieme alla sana produzione dei foraggi, all’elevato standard igienico delle stalle nei territori consortili e all’accurato procedimento tuttora manuale sono la premessa per la realizzazione di un prodotto dell’eccellenza italiana, espressione di una tradizione antichissima fatta di sapori sinceri e genuini. Ecco perché si dice che l’unico segreto del gorgonzola è quello di non avere segreti!
Metodo di produzione
Anche nella grande industria nazionale il procedimento di produzione del gorgonzola prevede ancora un forte intervento manuale. Il formaggio si ottiene utilizzando esclusivamente latte vaccino intero pastorizzato cui si aggiungono fermenti lattici, caglio e spore di penicilli. A coagulazione avvenuta la cagliata viene
sistemata nei fassiroli, o fascere, in quantità di circa 15 kg per ogni forma e viene lasciata riposare per permettere la perdita di siero. Successivamente le forme vengono girate e marchiate su entrambe le facce con il numero identificativo del caseificio di produzione. Quindi vengono spostate in celle, dette 'purgatorio', con una temperatura di 18/24°C, dove le forme vengono salate manualmente.
Dopo 3 settimane circa di stagionatura, in celle frigorifere a 2/7° C, con umidità del 85/99%, ha luogo la foratura con grossi aghi metallici che permette all’aria di entrare nella pasta, sviluppare le colture già innestate nella cagliata e dare così vita alle inconfondibili venature blu/verdi del gorgonzola. A stagionatura ultimata, dopo circa 2 mesi, le forme vengono tagliate e ciascuna parte viene avvolta in alluminio riportante l’inconfondibile in rilievo del Consorzio, unica garanzia di qualità dove C sta ad indicare il Consorzio e G si riferisce al formaggio gorgonzola. Senza il numero del caseificio d’origine, i marchi del Consorzio e l’alluminio in rilievo, infatti, il formaggio non è gorgonzola.
Caratteristiche
Il gorgonzola è un formaggio molle a pasta cruda che appartiene alla famiglia degli “erborinati” (da “erborin”, che in dialetto milanese vuol dire prezzemolo) ovvero di quei formaggi che presentano le tipiche striature verdi date, non dall’utilizzo del prezzemolo, bensì dalla formazione di muffe. Altri “erborinati” famosi sono il Castelmagno della provincia di Cuneo, il Blu del Moncenisio, lo Stilton inglese e il Roquefort francese. Occorre circa un quintale di latte per ottenere una forma del peso di circa 12 kg.
Dolce o piccante?
Il gorgonzola del tipo piccante, si differenzia, oltre che per il gusto forte e deciso più simile al “roquefort” francese o allo “stilton” inglese, per le venature blu/verdi più accentuate e per la pasta più consistente e friabile. Il gorgonzola piccante prevede un periodo di stagionatura più lungo e durante la lavorazione vengono innestate colture di penicilli differenti. Questo tipo di gorgonzola, detto anche “gorgonzola del nonno” o “antico” perché consumato maggiormente in passato, rappresenta oggi circa il 9% della produzione nazionale.
Informazioni nutrizionali
Il gorgonzola ha un alto contenuto di minerali e vitamine. E’ inoltre appurato che il gusto e l’aroma del gorgonzola provocano un’attivazione sensoriale che stimola la secrezione di bile e di succo pancreatico favorendo in questo modo la digestione dei grassi e delle proteine.
100 gr. di GORGONZOLA contengono:
Calorie 330 kcal
Proteine 19 gr
Carboidrati 0
Grassi 27 gr
Fosforo 360 mg (45% rda)
Calcio 420 mg (52% rda)
Vitamine A - B1 - B2 - B6 - B12 - PP
Secondo una recente ricerca commissionata dal Consorzio per la tutela del formaggio gorgonzola al professor Mario Del Piano, medico gastroenterologo, il gorgonzola è tollerato anche da chi soffre di intolleranze alimentari (circa il 70% della popolazione adulta). Già in passato il professor Del Piano aveva sottolineato le particolari qualità nutritive del gorgonzola, impiegato sin dal Medioevo nella cura dei disturbi gastro-intestinali, e ancor oggi somministrato agli ammalati inappetenti per malattie croniche e neoplastiche. "Il Gorgonzola - ha aggiunto il professor Del Piano - grazie alla triplice fermentazione cui è sottoposto il latte (lattica, con i lieviti e le muffe) è consigliabile a tutti coloro, che pur avendo l’intolleranza al lattosio, non vogliono rinunciare a mangiare un buon formaggio!".
Il gorgonzola a tavola
Il gorgonzola è un alimento dalla forte personalità che si presta ad essere utilizzato sia come portata in un pranzo di tutti i giorni sia come ingrediente principale nelle creazioni degli chef più rinomati.
Curiosità e leggende
Durante la seconda guerra mondiale Winston Churchill fece segnare la cittadina di Gorgonzola con un cerchietto rosso sulle carte per evitare che venisse bombardata in quanto produttrice del formaggio di cui era ghiotto.
Negli anni ’40 i quotidiani dell’epoca riportavano che l’italianissimo gorgonzola era il formaggio più consumato nel ristorante della Camera dei Comuni di Londra. Il gorgonzola ha anche un Santo protettore, San Lucio, il cui culto cominciò nell’800 quando i formaggiai offrivano al santo una lira in cambio della sua benevolenza. Al santo fu anche dedicato un grande quadro nella Chiesa di San Bernardino alle Ossa a Milano, proprio vicino al grande mercato del Verziere dove il formaggio era tra i generi più contrattati e, tra questi, il gorgonzola era il Re. Con lo spostamento del mercato il culto scemò restando comunque attivo fino ad oltre il 1960.
Le più celebri leggende sulla nascita del gorgonzola sono due e la fanno risalire una alla sbadataggine, l’altra all’amore. Nel primo caso si racconta che un mandriano si concesse una sosta in quel di Gorgonzola e, avendo dimenticato l’attrezzatura per lavorare il latte destinato a diventare crescenza o quartirolo, lasciò la cagliata in un recipiente riservandosi di unirla a quella del giorno dopo per poi lavorare il tutto con gli attrezzi recuperati.
Tuttavia l’unione delle due “paste” di consistenza diversa provocò il passaggio dell’aria negli interstizi e di conseguenza la diffusione delle muffe. Nacque così il gorgonzola. Stesso copione nella storia più romantica in cui il protagonista non è un mandriano, bensì un giovane casaro sbadato per amore!
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Il New York Times aggiusta il tiro senza rinnegare però la denuncia sugli inganni del falso extravergine Made in Italy e in Italia si corre ai ripari e, in attesa delle decisioni della politica, i produttori organizzano i primi cooking show per far conoscere a italiani e stranieri l’autentica produzione italiana al 100 per 100. È quanto afferma la Coldiretti nel sottolineare che sono state corretti alcuni fumetti della striscia pubblicata sul sito del New York Times sulle frodi che stanno provocando il “suicidio” del prodotto simbolo della dieta mediterranea e che inizia la riscossa del vero extravergine italiano. Nella “nuova” storia si precisa che in Italia l’olio frutto di miscele provenienti dall’estero viene etichettato come “confezionato in Italia” o “importato dall’Italia” mentre nella precedente versione si parlava di “Made in Italy” tout court. Anche il fumetto in cui si affermava che “il 69% dell’olio di oliva importato negli Stati Uniti è manipolato” è stata cambiata e si scrive invece che - riferisce la Coldiretti - “il 69% dell’olio di oliva importato ed etichettato come extra-vergine non ha rispettato i parametri previsti dai test”. Si tratta di precisazioni che non cambiano la gravità delle accuse alle quali occorre rispondere - sostiene la Coldiretti - con fatti concreti per garantire l’autenticità e la trasparenza della produzione italiana di olio di oliva dando piena operatività alla cosiddetta legge salva olio approvata nel febbraio 2013. Ora - continua la Coldiretti - c’è la possibilità in Parlamento nella discussione in corso sulla legge comunitaria di approvare uno specifico emendamento diretto a prenderne atto e a rendere operativa la norma.
Le truffe dell’extravergine in Italia diventano fumetti sul New York Times dove si deridono gli inganni del falso Made in Italy che stanno provocando il “suicidio” della prodotto simbolo della dieta mediterranea. E’ quanto afferma la Coldiretti nel commentare le vignette di Nicholas Blechman dal titolo “Il suicidio dell’extravergine - l’adulterazione dell’olio di oliva italiano” che illustrano con una serie di 15 disegni la produzione nazionale di extravergine come un covo di truffatori, protetti dal potere politico, che importano olio dall’estero da adulterare e miscelare con quello nostrano per poi spacciarlo come Made in Italy, in barba anche alle forze dell’ordine http://www.nytimes.com/interactive/2014/01/24/opinion/food-chains-extra-virgin-suicide.
Nicholas Blechman è l’art director del New York Times Book Review ed ha utilizzato come fonte il blog Truth in Olive Oil gestito da Tom Mueller autore del libro “Extraverginità” sullo scandaloso mondo dell’olio di oliva.
Secondo il prestigioso giornale internazionale la maggioranza dell’olio di oliva venduto come italiano proviene in realtà da Paesi come Spagna, Marocco e Tunisia che esportano in Italia dove arrivano anche olio di soia ed altri oli di bassa qualità che vengono etichettati e contrabbandati come extravergini di oliva. La serie di vignette - riferisce la Coldiretti - spiega che l’Italia è il principale importatore mondiale di olio e che nelle raffinerie italiane l’olio di oliva è miscelato con oli meno costosi e dopo l’aggiunta di beta-carotene per mascherare il sapore e di clorofilla per dare colore, viene imbottigliato ed etichettato come extravergine Made in Italy. Le bottiglie sono spedite in tutto il mondo ed anche in Paesi come gli Stati Uniti, dove si dice che il 69 per cento delle bottiglie vendute si ritiene manipolato. Nonostante il fatto che uno speciale corpo dei Carabinieri sia addestrato per scovare l’olio adulterato ed i ripetuti raid dei diversi corpi di polizia nelle raffinerie, gli industriali sono raramente perseguiti anche perché molti possono contare su legami con potenti rappresentanti del mondo politico. Il risultato di tutte queste frodi sono i bassi prezzi dell’olio di oliva italiano che di sta di fatto suicidando, conclude laconicamente il New York Times.
Il racconto del New York Times - sottolinea la Coldiretti - riporta una realtà, purtroppo già nota e denunciata, di numerose frodi e contraffazioni come quella scoperta recentemente dalla Guardia di Finanza in Toscana che ha portato al sequestro di 8 milioni di bottiglie di olio di oliva destinato al mercato, con una origine e qualità diverse da quelle presentate. A fronte di questi fenomeni sotto il pressing della Coldiretti è stata approvata nel febbraio 2013 la cosiddetta legge “salva olio” che contiene misure di repressione e contrasto alle frodi e di valorizzazione del vero Made in Italy. Ancora oggi la legge non risulta pienamente applicata per l’inerzia della pubblica amministrazione e per l’azione delle lobby industriali denunciate dallo stesso New York Times, a livello nazionale e comunitario. Ora - continua la Coldiretti - c’è la possibilità in Parlamento nella discussione in corso sulla legge comunitaria di approvare uno specifico emendamento diretto ad rispondere alle osservazioni dell’Unione Europea ed a rendere operativa la norma, ripristinando tra l’altro il tappo antirabbocco a tutela del vero extravergine italiano anche nella ristorazione. L’Italia ha dunque l’occasione – afferma la Coldiretti - di ricostruire una credibilità internazionale e di salvaguardare il mercato di una primaria realtà economica, occupazionale ed ambientale contro il rischio di quello che il New York Times ha chiamato il suicidio del Made in Italy.
L’Italia - continua la Coldiretti - è il secondo produttore mondiale di olio di oliva dopo la Spagna con circa 250 milioni di piante su 1,2 milioni di ettari di terreno ma è anche il principale importatore mondiale. Il fatturato del settore è stimato in 2 miliardi di euro con un impiego di manodopera per 50 milioni di giornate lavorative. Le esportazioni italiane di olio di oliva nel 2013 sono state pari a oltre 1,2 miliardi di euro e gli Usa - conclude la Coldiretti - rappresentano il principale mercato extracomunitario.
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Made in Italy: i consorzi di tutela sono una grande risorsa “I consorzi di tutela sono una grande risorsa per il nostro Made in Italy agroalimentare, il loro governo però deve perseguire efficacemente le finalità dei marchi che gli stessi tutelano” - ha affermato Fabio Perini, Presidente di Fedagri Confcooperative Lombardia, durante la tavola rotonda dal titolo “Produzioni di qualità, cooperazione e consorzi di tutela: prospettive per il Made in Italy agroalimentare” che si è tenuta presso il Consorzio Latterie Virgilio a Mantova.
“Questa problematica è cruciale per la promozione di tutto il Made in Italy agroalimentare, e si risolve, come è avvenuto per l’etichettatura delle carni, a partire da una proficua applicazione del normativa UE - ha sottolineato Perini - l’efficace applicazione del Pacchetto Qualità nella tutela delle produzioni tipiche, passa in realtà per la tutela delle filiere di queste stesse produzioni e quindi della materia prima agricola e dei produttori stessi - ha aggiunto Perini - per queste motivazioni i consorzi di tutela in cui la presenza della cooperazione agroalimentare è più marcata, come nel caso del Grana Padano e del Parmigiano Reggiano, riescono ad adempiere appieno alla loro funzione, di tutela delle produzioni, ma anche dei consumatori”.
“Specie nei casi in cui il tessuto produttivo delle imprese agricole non ha saputo intraprendere efficaci percorsi di organizzazione e aggregazione, troppo spesso i consorzi di tutela sono utilizzati impropriamente, per gestire in maniera finanche protezionistica alcuni prodotti - ha concluso Perini - o addirittura per mettere in atto operazioni speculative su produzioni parallele o collaterali a quelle protette”.
Alla tavola rotonda hanno partecipato il Presidente della Commissione Agricoltura e Sviluppo Rurale del Parlamento Europeo Paolo De Castro, il Presidente di Confcooperative Lombardia Maurizio Ottolini, il Presidente del Consorzio del Grana Padano Cesare Baldrighi, il Vicepresidente del Consorzio del Parmigiano Reggiano Piero Gattoni, il Presidente del Consorzio Vini Mantovani Luciano Bulgarelli, il Presidente di OPAS, Lorenzo Fonta.
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La giuria del 45° Key Award, dopo aver esaminato numerosissimi spot pubblicitari, e aver candidato il Consorzio del Grana Padano in ben due categorie, ha conferito il Key Aword, per la categoria 'Best Production Value', allo spot “Il buono che c’è in noi”, prodotto dal Consorzio di Tutela del Grana Padano,.
Il prestigioso riconoscimento, che è stato ritirato dal Presidente del Consorzio, Cesare Baldrighi (foto), è considerato dagli operatori e dalla critica, tra i più prestigiosi, conseguito in una delle categorie più affollate, dove gareggiavano grandi marchi, non solo del Food.
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Sono iniziate le celebrazioni dell’Anniversario della Grande Guerra, un evento che ha cambiato il mondo. Il Veneto è stato terreno di grandi battaglie le cui tracce si trovano facilmente. Basta fare un giro lungo il fiume Piave o sulle pendici del Monte Grappa per trovare le trincee e le testimonianze del passaggio dei soldati. Ci sono altre eredità che la guerra ci ha lasciato e alcune le portiamo in tavola ancora oggi.
Leggende locali raccontano infatti che durante la Prima Guerra Mondiale i contadini veneti, nel tentativo di salvare i loro preziosi formaggi dai saccheggi dei soldati austroungarici, presero l’abitudine di nascondere le forme sotto le vinacce, gli scarti della lavorazione dell’uva. Scoprirono presto che il formaggio non solo non si rovinava ma, al contrario, acquisiva un aroma nuovo.
Nasce così la storia del Formaggio “Imbrjago”, ubriaco. Verità o leggenda non è dato sapere! Certo è diventato uno dei formaggi della tradizione veneta grazie alla tenacia di alcuni produttori che ne hanno perpetrato e migliorato la ricetta.
La Toniolo Casearia ha sede sulle pendici del Monte Grappa dove questi racconti sono nati.
Questa Azienda ha fatto del suo formaggio ubriaco uno dei formaggi più amati e lo ha chiamato PerBacco® Toniolo. Il segreto sta nel fatto che il PerBacco® Toniolo, dopo aver stagionato per 18 mesi su assi di legno, riposa per alcuni mesi in tini di vino rosso, autoctono ma rigorosamente top-secret. Non solo: il vino viene sostituito con regolarità, cosi da fare in modo che il formaggio ne assorba aromi e proprietà.
Il risultato è un formaggio dal sapore deciso e aromatico, dolcemente piccante, con un retrogusto d’uva del tutto unico. Si riconosce al primo sguardo per la sua crosta di colore rosso scuro, liscia e regolare grazie al tempo trascorso nel vino. La pasta con l’ubriacatura assume invece una consistenza particolare ed un colore più chiaro, paglierino o quasi bianco. Il PerBacco® è ottimo cosparso di miele d’acacia o accompagnato da vini rossi invecchiati ed importanti.
Per il suo gusto accattivante e piacevole il PerBacco® di Toniolo ha collezionato apprezzamenti e premi in tutto il mondo, tra cui il prestigioso World Cheese Award del 2007.
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Un prodotto alimentare italiano su cinque viene venduto all’estero, quasi il 40% delle imprese alimentari è già impegnato sui mercati internazionali. L’export alimentare nel 2013 fa registrare un giro d’affari di 27 miliardi di euro, con un incremento del +6,5% sull’anno precedente. Il prodotto italiano viene esportato ovunque: 62,5% in Europa, 10,6% negli Usa, 1,8% in America Latina, 1,5% in Australia, 1,7% in Medio Oriente, 5,3% in Asia, 0,7% nel Sud Est Asiatico (dati 2013 Federalimentare).
In questo contesto, si inseriscono le iniziative preparatorie di “Cibus 2014”, la 17° edizione della principale fiera alimentare italiana, che si terrà a Parma dal 5 all’8 maggio 2014.
“I dati più recenti dell’export di settore rimangono positivi – ha dichiarato Filippo Ferrua, Presidente di Federalimentare – stanno andando deluse, tuttavia, le speranze di un’accelerazione del passo espansivo dell’export 2013, dopo il +6,9% registrato nel 2012, a compensazione della caduta inarrestabile del mercato interno. E’ la conferma delle difficoltà del settore a svincolarsi dalla stretta della crisi e ad inserirsi finalmente nel ‘punto di svolta’ verso convincenti profili di ripresa. Da qui la validità della tradizionale scelta strategica di Federalimentare di organizzare assieme a Fiere di Parma ‘Cibus 2014’, alla ricerca di ogni possibilità di contatto e di ogni spunto di sviluppo e sostegno della proiezione export-oriented delle imprese italiane, soprattutto PMI” .
Per assicurare il successo dell’internazionalizzazione del food made in Italy va chiarito come penetrare i mercati esteri, come aiutare le piccole e medie imprese ad entrare in queste dinamiche, quali mercati sono promettenti e per quali prodotti.
“Dobbiamo esser capaci di capitalizzare all’estero, in tempi brevi, le nostre competenze distintive – ha sottolineato Antonio Cellie, Amministratore Delegato di Fiere di Parma – realizzando alleanze con gli operatori leader nei mercati obiettivo. La nostra joint venture con la Fiera di Colonia é una best practice: in 12 mesi abbiamo garantito ai nostri espositori la massima visibilità su un mercato strategico come l’Asean grazie ad un accesso privilegiato alla fiera thailandese Thaifex, che con i suoi 1500 espositori é la più grande e visitata fiera dell’Asia. Le prossime tappe di Cibus/Anuga sono Cina e Sud America, sempre all’interno di eventi leader. I nostri clienti non possono permettersi costosi (o lunghi) esperimenti. Lavorare su piattaforme consolidate ci consente inoltre di entrare in relazioni con i top buyers di tutto il mondo e quindi garantire la loro presenza a Parma durante Cibus dove potranno culminare sul territorio la loro esperienza di business con il made in italy alimentare”.
“Cibus Market Check” è una delle iniziative congiunte di Fiere di Parma e Federalimentare (l’associazione confindustriale delle imprese alimentari) complementari e propedeutiche a Cibus 2014: dopo aver incontrato le catene distributive in Russia, Thailandia, Brasile e Stati Uniti d’America, la prossima tappa è rappresentata dal Giappone. Il 6 ed il 7 marzo un gruppo di aziende italiane incontrerà i buyer e i category manager di quattro tra le più rappresentative catene di Tokio per capire il placement del prodotto italiano a scaffale e come migliorarne presenza e comunicazione.
I buyer giapponesi, come quelli degli altri Paesi visitati nel “Cibus Market Check”, saranno poi ospiti di Cibus 2014 in un contesto di forte spinta all’incoming degli operatori esteri. Hanno già confermato la loro presenza a Cibus i buyer di diverse catene estere, come Globus Gourmet (Russia), HeB (USA), Grupo Pao de Acucar (Brasile), Aeon (Giappone), Rewe (Germania), Intermarche (Francia), Jumbo (Paesi Bassi), Loblaw (Canada), Delhaize (Belgio) ed altri ancora. Va sottolineata la presenza della Daymon Worldwide, società americana leader nel mondo nel campo della consulenza alle catene distributive, che partecipa per la prima volta ad una fiera alimentare italiana, con un proprio stand e portando buyer e retailer esteri, come ha sottolineato David Lopes, Presidente e General Manager International Private Brand Development di Daymon Worldwide: “Siamo fieri di partecipare a Cibus 2014 per poter incontrare produttori e retailer italiani di alto livello, nonché altri importanti player internazionali. Coglieremo tutte le opportunità offerte da questa partecipazione per offrire ulteriore valore aggiunto ai nostri partners del mondo retail”.
L’attività di Cibus e di Fiere di Parma tocca tutti i punti sensibili dell’export. Il Ministero dello Sviluppo Economico, in collaborazione con Federalimentare, Federbio e Fiere di Parma, avvalendosi anche del contributo della Comunità Ebraica Italiana e del Centro Islamico Culturale d’Italia per le tematiche culturali e scientifiche di rispettiva competenza, ha promosso un programma di diffusione delle certificazioni agroalimentari biologica e religiose, kosher e halal, presso le aziende italiane. Il programma, già presentato nel 2013 in 3 seminari in Italia ed in 7 fiere internazionali approderà a Cibus 2014 con un’area informativa e con un programma di incoming dedicato alle aziende partecipanti al progetto ed espositrici in fiera (aziende che potranno fregiarsi dei loghi “Cibus Kosher” e “Cibus Halal”).
“Il crescente interesse delle imprese alimentari per l’export si riflette nelle adesioni a Cibus 2014 – ha riferito Elda Ghiretti, Cibus Brand Manager, Fiere di Parma – Ad oggi, il trend di conferme di prenotazione degli espositori registra un segno positivo rapportato allo stesso rilevamento dell’edizione precedente. Sono tante le imprese che vengono a Cibus per la prima volta, anche attratte dalle novità della 17° edizione”.
Tra le novità spicca “Cibus nel Dettaglio” un’iniziativa volta a valorizzare il dettaglio alimentare tradizionale. Grazie alla collaborazione con Lekkerland, società internazionale leader di distribuzione di prodotti dolciari, bevande ed articoli d’impulso in Italia, è stata organizzata un’area espositiva di 1.000 mq che ospiterà 100 espositori, scelti tra i fornitori di Lekkerland, e di uno spazio convegnistico. “L’obiettivo è essere protagonisti a Cibus - ha dichiarato Carletto Barovero del Cda di Lekkerland – dando spazio al mondo del dettaglio, analizzandone le problematiche e proponendo, anche con allestimenti esemplari, il negozio ideale con l’assortimento ideale”.
Cibus 2014 rappresenterà anche il mondo della ristorazione organizzata ed il travel retail con un convegno, “Alimentiamo le vendite”, in cui verranno presentate le realtà della ristorazione “di flusso” con testimonianze delle imprese attive nel duty free e negli spazi travel.
Si terrà per la prima volta all’interno di Cibus il tradizionale convegno “Quale futuro per la promozione delle vendite”, promosso dall’Università di Parma e da Nielsen. Il focus è sulla leva promozionale nella grande distribuzione e su come migliorarne la qualità. “Ci sarà anche una novità, cioè una parte espositiva a margine del convegno – ha annunciato Giampiero Lugli, professore di Economia all’Università di Parma – dedicata alle innovazioni tecnologiche nel campo della promozione, in primis alle varie ‘app’ studiate per gli smartphone di fornitori e consumatori”.
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Crescono del 3,75% le esportazioni di gorgonzola nel mondo con oltre 10.000 tonnellate esportate. Per quanto riguarda l’Unione Europea i Paesi che acquistano più gorgonzola si confermano, Francia (+4,5%) e Germania (+5,9%) seguiti dai Paesi Bassi, Regno Unito, Svizzera. A seguire Spagna e Polonia che fanno registrare ottime performance in termini di crescita percentuale rispetto all’anno precedente rispettivamente del +4,7% la prima e del +14,2% la seconda. Negli Stati Uniti il gorgonzola si conferma un formaggio molto amato con l’esportazione oltreoceano che cresce del 3,00%.
Interessanti anche le performance del continente asiatico con i consumi in Cina che crescono del 383%, in Giappone del 49%, in Indonesia del 108%, in Israele del 245% e a Singapore del 427%
Nell’ambito della vigilanza internazionale sulla commercializzazione all’estero di prodotti contrassegnati dal marchio Dop, tra cui il gorgonzola, nel settembre 2012 il Consorzio Gorgonzola ha supportato l’operazione internazionale OPSON 2, promossa dall’EUROPOL dell’Aia in collaborazione con l’INTERPOL di Lione. Il susseguirsi di casi d’usurpazione, a livello nazionale ed internazionale, ben dimostra il valore intrinseco di questa DOP e proprio per questo è necessaria una costante ed attenta attività di monitoraggio degli illeciti. Anche all’estero, infatti, aumentano i casi di prodotti commercializzati come provenienti dall’Italia e contrassegnati dal marchio DOP che in realtà d’italiano non hanno proprio nulla. Tali prodotti sono il frutto di attività che mirano a sfruttare il pregio che il formaggio Gorgonzola DOP offre. Affinché l’azione legale vada a buon fine è necessario però che il marchio consortile G (Consorzio Gorgonzola) e l’indicazione geografica 'Gorgonzola' siano stati preventivamente registrati in quei paesi. Nel solo anno 2012, il Consorzio ha depositato domanda di registrazione dell’indicazione geografica 'Gorgonzola' in Costa Rica, El Salvador, Guatemala, Honduras, India, Nicaragua e Panama e del marchio collettivo CG in Svizzera e nel U.S.A. Il Consorzio ha, inoltre, depositato domanda di registrazione del termine 'Gorgonzola' quale marchio di certificazione in Cina.
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1/11/2013 Trentodoc in queste settimane è protagonista sulle piazze più prestigiose, accanto ai grandi piatti della tradizione culinaria del Belpaese. Dinamico come le sue bollicine, lo spumante trentino ha portato sulle tavole dei migliori ristoranti delle grandi città il suo charme e il suo gusto, elementi che ne fanno un’eccellenza della produzione vitivinicola trentina.
Da Modena a Firenze a Roma, lo spumante di montagna ha vissuto, attraverso le iniziative coordinate dall’Istituto Trento Doc, momenti molto significativi di promozione commerciale. Basti ricordare la trasferta romana con la partecipazione a “Cooking for art” di fine ottobre, oppure quella, «Trentodoc in città» dal 13 al 15 ottobre, in dieci fra i più esclusivi locali milanesi, a testimonianza dello spessore raggiunto dalle bollicine trentine.
Il prossimo importante appuntamento è per fine mese, quando il centro storico della città di Trento ospiterà l’importante manifestazione dedicata alla produzione spumantistica provinciale. Con un restyling della formula e del nome, «Trentodoc, Bollicine sulla città», torna infatti dal 21 novembre all’8 dicembre la nona edizione della manifestazione che rappresenta una vera e propria vetrina per la punta di diamante della produzione vitivinicola trentina.
La città del Concilio, per l’occasione, si trasformerà in un grande salotto dall’atmosfera magica, resa ovattata anche dalle luci del vicino Mercatino di Natale. In questo contesto, fra le vie del centro, sarà possibile avvicinarsi al mondo di Trentodoc, scegliendo tra degustazioni, incontri con i produttori, momenti divulgativi come la presentazione della celebre guida Slowfood e “assaggi d’osteria” firmati Trentodoc, “A tavola con Trentodoc” e Trentodoc in cantina, con eventi organizzati nelle case spumantistiche trentine. Infine “Trentodoc in città”, che proporrà, la sera del 22 novembre, “Trentodoc, Le Albere in fermento”, happening musicale presso gli edifici abitativi a fianco del Muse, il Museo delle Scienze di Trento.
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La manifestazione, alla sua XVI° edizione, è dedicata alla valorizzazione dell’Olio extravergine di oliva DOP Umbria e del turismo in campagna, ideata e realizzata dall’Associazione Strada dell’Olio con la collaborazione del Consorzio di Tutela Dop Umbria, Città dell’Olio e al sostegno della Comunità Montana Monti Martani Serano e Subasio.
Le città che hanno riscontrato il tutto esaurito nei primi due giorni, sono state Trevi con “Festivol, Trevi tra olio, Arte, Musica e Papille” e Assisi con “Unto, Unesco, Natura, Territorio e Olio”. Ma da sabato 2 novembre hanno preso via anche le iniziative a Campello sul Clitunno dove c’è la “Festa dei Frantoi” e a Giano Dell’ Umbria con “La Mangiaunta”.
Ad Assisi prosegue”Unto”con lezioni di Cucina, Degustazioni di Olio Extra Vergine di Oliva DOP Umbria, giochi popolari per i più piccoli, Visite guidate della città e dei luoghi di vita di Francesco e Chiara.
A Campello sul Clitunno, è la “Festa dei Frantoi” con bruschette in piazza, degustazioni di olio, e tour nei frantoi della città.
Nelle piazze delle città aderenti alla manifestazione oltre ad assaggi di Pane o Olio Novello sarà possibile degustare le Lenticchie di Norcia IGP offerte dalle Cooperativa della Lenticchia di Castelluccio. Inoltre grazie alla partnership con Movimento del Turismo del Vino Umbria che organizza Cantine Aperte, in alcuni frantoi, sarà possibile assaggiare vini umbri.
Tante sono poi le singole iniziative che i 35 frantoi aderenti a “Frantoi Aperti 2013” hanno in serbo per i tanti visitatori, golosi e curiosi di sapere come fa dall’oliva a sgorgare l’Oro verde dell’Umbria.
Insomma, giornate ricche di eventi, cibo, buona compagnia, tradizione ed innovazione, ci attendono in Umbria e così sarà anche nei prossimi fine settimana e fino all’8 dicembre 2013.
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Via ufficiale, sulle note e le parole de ‘Va’ pensiero’ di Giuseppe Verdi, alla ‘Festa del torrone’ di Cremona, che si svolgerà dal 16 al 24 novembre, dato a Palazzo Pirelli con tre assessori regionali: Cristina Cappellini (Culture, Identità e Autonomie), Alberto Cavalli (Commercio, Turismo e Terziario) e Gianni Fava (Agricoltura) (foto in basso).
UNA VETRINA CHE LANCIA VERSO EXPO - “Una festa che consente a Cremona e alla sua provincia di far conoscere i suoi punti di forza, sia a livello gastronomico sia per quel che riguarda il patrimonio culturale, e di raggiungere vetrine importanti con, sullo sfondo, quella mondiale di Expo 2015”. Così l’assessore alle Culture, Identità e Autonomie di Regione Lombardia Cristina Cappellini.
Alla conferenza stampa di illustrazione della Festa erano presenti i consiglieri regionali Federico Lena e Salvatore Carlo Malvezzi; Stefano Bolognini, assessore al Turismo della Provincia di Milano; Matteo Soccini, assessore al Turismo della Provincia di Cremona; l’assessore comunale al Turismo di Cremona Irene Nicoletta De Bona (Cremona); Alfredo Zini, vice presidente vicario dell’Epam (Associazione milanese esercizi pubblici) e Stefano Pellicciardi di Sgp eventi. Da non perdere, quindi, anche i cortei storici e i viaggi in treno da Milano a Cremona e ritorno. “Momenti speciali - è stato sottolineato in conferenza stampa dagli assessori - che consentiranno di valorizzare un’eccellenza lombarda nota in tutto il mondo, il patrimonio culturale di Cremona e provincia e di sostenerlo in chiave Expo”.
IDENTITÀ CREMONESE - “Un evento importante - ha aggiunto l’assessore Cappellini - e che ha fatto passi avanti aumentando il numero dei giorni di festa e l’offerta culturale, oltre che gastronomica. Come assessore alle Culture e rappresentante del territorio cremonese, sono felice di registrare questo sviluppo che consente anche di valorizzare meglio l’identità e la storia del nostro territorio. In questo senso è da sottolineare anche la particolare attenzione di Regione Lombardia verso la liuteria, patrimonio immateriale dell’Unesco”. “Sono certa - ha sottolineato Cappellini - che Cremona, anche in questa occasione, saprà dare il meglio di sé e metterà in mostra una cultura davvero viva in grado di valorizzare sia i propri tesori d’arte sia quelli enogastronomici”.
PROMOZIONE DEL TERRITORIO - “Eventi come questo costituiscono una grande occasione per promuovere il nostro territorio e mettere alla prova la nostra capacità ricettiva, rendendo servizi e accoglienza di grande qualità, anche in vista di Expo”. Così l’assessore al Commercio, Turismo e Terziario Alberto Cavalli.
“Il food, così come la moda e il design - ha proseguito l’assessore - sono elementi distintivi dei lombardi, della loro storia, e della capacità di fare business con essa”. L’assessore Cavalli ha poi sottolineato che lo sforzo che Regione Lombardia sta facendo è quello di aiutare le piccole aziende a promuovere in campo internazionale i loro prodotti di eccellenza.
“L’abbiamo fatto - ha detto Cavalli - sempre per il territorio di Cremona, per la manifestazione ‘Mondo Musica 2013’, posso ipotizzare una vetrina internazionale anche per la festa del torrone”.
VETRINA PER L’ECCELLENZA - “Laddove c’è qualità, ricerca e tipicità ci sarà sempre il sostegno di Regione Lombardia per la promozione e diffusione, come accade per la ‘Festa del torrone’ di Cremona”. L’ha detto l’assessore all’Agricoltura Gianni Fava.
“I prodotti alimentari - ha aggiunto Fava - sono importanti e rappresentano valori importanti per la nostra economia e iniziative come questa festa sono la dimostrazione della capacità di fare, di creare e di essere comunità”.
“Parlare anni fa di turismo enogastronomico - ha detto l’assessore Fava - anni fa sembrava strano, oggi sono manifestazioni come questa di Cremona, che è momento ludico, ma anche culturale e agricolo, a consentirci di offrire particolari vetrine alle eccellenze lombarde”.
PUNTARE SULLA QUALITÀ - “Quando noi riusciamo a valorizzare e far conoscere i nostri prodotti e le nostre eccellenze del territorio quale appunto è il torrone di Cremona - ha sottolineato l’assessore all’Agricoltura lombardo - dimostriamo di puntare sulla qualità del nostro sistema agroalimentare e delle sue produzioni”.
“I nostri prodotti - ha concluso Fava - sono di alta qualità, vanno quindi promossi e fatti conoscere anche in mercati lontani che, ne sono sicuro, li apprezzeranno e li consumeranno”.
ASSAGGI NEI RISTORANTI DI MILANO - Dal 9 all’11 novembre, trenta ristoranti milanesi, il cui elenco è sul sito www.festadeltorronecremona.it, proporranno assaggi e degustazioni del torrone in una rinnovata collaborazione tra Cremona e Milano per la promozione di un’eccellenza lombarda nota in tutto il mondo.
Anche a Cremona la manifestazione crescerà ulteriormente passando dai 3 ai 9 giorni e consentendo una maggiore possibilità di visita alla festa. I numeri della passata edizione (foto in alto) recitano 100 espositori, 80 eventi, 150.000 visitatori, 300 pullman, 900 camper in città e 36 tonnellate di torrone venduti.
I NUMERI DEL 2012 - “Numeri - sottolinea l’assessore al Turismo di Cremona Irene Nicoletta De Bona - che sono destinati a crescere così come Cremona si appresta anche a far crescere il suo patrimonio immateriale inaugurando, il 13 dicembre, un nuovo museo di strumenti musicali a pizzico”.
UNA CRESCITA COSTANTE - “La crescita della Festa del torrone - ha spiegato Stefano Pellicciardi di SGP eventi - passa per la creazione di rapporti con altre realtà e soggetti come Expo, Giffoni Film festival, Milano Marittima, Trenord, Alitalia e Feltrinelli. A questo si aggiungono le iniziative ad hoc dedicate al mondo della liuteria e proposte come il Palio del torrone che vedrà la sfida tutta lombarda tra Cremona, Bergamo, Brescia, Lodi, Lecco e Pavia, il mercato degli antichi mestieri e manifestazioni per il bicentenario della nascita di Giuseppe Verdi”.
UN TUFFO NELLA STORIA - “La rappresentazione storica con tanto di oltre 400 figuranti del matrimonio tra Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti - ha concluso Pellicciardi -, la grande scultura a tema musicale che regalerà Sperlari e lo spettacolo aereo visibile da piazza del Duomo suggelleranno un’edizione della manifestazione che vedrà l’assegnazione, il 23 novembre, del ‘Torrone d’oro’ all’assessore regionale allo Sport Antonio Rossi per il lustro dato con la sua attività sportiva, seguito da Oreste Perri, sindaco di Cremona capitale europea dello sport, all’Italia e a Cremona”.
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Nella tradizione alpina le mandrie scendevano dall’alpeggio a fine novembre, e più esattamente il 25, giorno di Santa Caterina, da cui il detto “a santa Caterina la vacca la va in cassina
Alcune mandrie entravano a Milano dove sostavano vicino al grandioso edificio voluto da Francesco Sforza nel 1456 per riunire un’unica istituzione le case ospedaliere disseminate nella città, la Ca’ Granda, ora sede dell’Università Statale. I bergamini fornivano ai degenti del vicino ospedale il latte fresco delle vacche custodite nelle baracche in legno erette nella via che, ancor oggi, porta il nome di via Bergamini. Le stalle durarono fino al 1848, quando gli insorti utilizzarono il legname di cui erano composte, per fabbricare le barricate delle Cinque Giornate di Milano
Le mandrie erano salite all’alpeggio nel giorno di San Giorgio: il 24 aprile, per la Diocesi di Milano, il 23 per il resto del mondo, guidate dai bergamini, mandriani appiedati, che prendevano il nome dalle valli bergamasche dove si compiva la transumanza. Prima di partire con le loro mandrie, dette “bergamine “, per l’alpeggio, i bergamini stipulavano i contratti con i lattai celebrando l’avvenimento con solenni mangiate di panna (panera) nella quale intingevano il pane di miglio (pan mein) aromatizzato con i fiori di sambuco sbocciati in quel periodo dell’anno. I milanesi continuarono a celebrare ogni anno in famiglia e fuori, “la panerada”: gustando la “ panera” che i lattai continuarono ad offrire ai loro clienti con “el pan mejn”, fino ad una quarantina d’anni fa e continua ad essere celebrata dall’Antica Credenza di Sant’Ambrogio.
Alla corte del burro, principe della cucina padana, e del grana, re della tavola universale, brilla la grande famiglia degli stracchini che costituiscono una pleiade di formaggi molli e semi stagionati, riuniti in un’unica denominazione attinta dalla condizione di spossatezza delle mandrie stanche per la transumanza. La voce “stracchino” non definisce un solo formaggio ma indica quelli molli e semi stagionati che in passato venivano prodotti a fine estate, quando le vacche scendevano dall’alpe al piano ed erano quindi stanche: stracche dalla definizione longobarda strack. Un’altra versione, un pò meno bucolica, considera che fosse il latte ad essere stanco perché prodotto da vacche adibite al lavoro.
Per i puristi che considerano i dialetti una forma desueta si dovrebbero chiamare “affaticatini” facendo derivare il nome di questi formaggi dallo stato di affaticamento delle vacche e implodere nella definizione di prezzemolati, gli erborinati che prendono il loro nome dalla parola dialettale “erborin “ con cui i lombardi indicano il prezzemolo. Francesco Cherubini alla voce stracchin riporta la definizione tratta dal Viaggio agronomico d’Italia del bravo marchese Cosimo Ridolfi, membro dell’Accademia dei Georgofili: “Specie di cacio pingue o bianco o gialligno che si fabbrica tra noi di primavera o d’autunno con latte non isburrato quagliato o serbato nel sale. Secondo epoche di lavorazione, secondo quantità di caglio e di sale adoperato e secondo le varie terre del nostro contado (Ducato di Milano n.d.r) ove si fa distinguesi come segue:carsen stracchin de do paner, stracchin de Gorgonoeula. stracchin grass, stracchin magengh (di primavera), stracchin magher, stracchin nostran (dozzinale), strachin quartiroe”, che non hanno perso la loro sapidità sulle tavole lombarde, e non solo, pur italianizzando le attuali denominazioni nella diversità delle forme:
Di forma appiattita. Carenza: sfocacciata si che non imita male una gran focaccia lattea, alta mezzo decimetro o poco più e tale che vuol essere mangiata freschissima e non altrimente. E’ un tipo di formaggio che, se tenuto in ambiente caldo fermenta e si gonfia spaccandosi come fa il pane durante la lievitazione dovuta al “ carsent” ( termine riportato dal Cherubini per indicare il lievito) che ha dato alla focaccia il nome traslato poi nel tipo di formaggio che, italianizzato in crescenza sta ad indicare un formaggio di pasta omogenea, compatta e di colore bianco dal sapore di latte e fondente in bocca.
Di forma quadrata. Stracchino: Paolo Elziario Aresca, sul finire del Settecento, considera nella sua Formaggeide molti formaggi italiani precisando che “ Milano ha da per tutto il suo Stracchin gran stima”. Per le vie della vecchia Milano si aggiravano venditori ambulanti, detti: stracchinatt, che offrivano le forme quadrate di stracchino dalla pasta morbida e uniforme, quasi burrosa, di tenero color paglierino, di sapore dolce, con vena aromatica e amarognola variamente intensa, talvolta debolissima, talvolta rilevata. Lo Stracchino di Milano è padre di molti figli: alcuni conservano la caratteristica forma quadrata, come il quartirolo ed il taleggio, altri si ricavano con un taglio verticale e uno o due tagli orizzontali per ottenere i quattro o sei rettangoli delle robbiole.
Quartirolo: quando le mandrie ritornavano a fondovalle dopo il periodo estivo, i bergamini. lasciavano pascolare le mucche sull’erba “quartirola “: una razione di foraggio fresco, che si poteva considerare come l’ultimo pasto delle mucche condannate ad essere rinchiuse nelle stalle dove venivano alimentate con il fieno. L’erba “quartirola” rimasta dopo il terzo taglio era più ricca di essenze odorose e di sapori, che conferivano un aroma ed un gusto particolari al latte ed al formaggio derivato chiamato “quartirolo “.
Taleggio: nell’Ottocento gli abitanti della val Taleggio, che producevano un formaggio già citato da Plinio nella sua descrizione dell’arte casearia degli antichi abitanti delle valli bergamasche, vollero distinguere il loro pregiato formaggio da quelli provenienti da altre zone e “inventarono” il prodotto che ora è universalmente conosciuto come “Taleggio” : una denominazione che compare nel dizionario moderno di Alfredo Panzini del 1918. La robbiola di antichissima origine, secondo alcuni autori trarrebbe il nome da rubor: belletto, di color porpora, da cui rubens: che arrossisce. Entrambe le definizioni fanno chiaro riferimento al colore rossiccio che assume la crosta della robiola durante la stagionatura in grotte umide al punto giusto.
Di forma tonda. Nell’esercito caseario, la pattuglia degli erborinati annovera, l’erborinato di Artavaggio, prodotto con il latte delle mucche alimentate con l’erba dell’altopiano sullo spartiacque fra il Lario e il Brembo : più noto come strachitund; Stracchin erborinaa, quelle vene verdi bige che veggonsi nei nostri caci detti stracchini, sviluppo di queí funghi microscopici che i botanici dicono “mucor mucido” e noi muffa. Gli stracchini che hanno tali vene e che noi diciamo erborinaa, dai francesi sono detti fromages persillès. Stracchin de Gorgonzeola il più squisito e sapiente fra nostri stracchini che si fa nell’agro di Gorgonzola.
Presso alcuni autori è tuttora in uso il termine Stracchino di Gorgonzola, per indicare il gorgonzola.
Gorgonzola è la cittadina alle porte di Milano, il cui nome deriverebbe dai riflessi argentei delle acque che circondavano il borgo chiamato “Burg Argentiola”, trasformatosi nell’attuale nome per mutazione fonetica. Altri vorrebbero far derivare il nome di Gorgonzola dal latino Concordiola, derivato, a sua volta dalla dea romana Concordia, personificazione dell’unione dei cittadini, dell’affetto dei parenti e, in età imperiale, della fedeltà dell’esercito all’imperatore. Singolare è la figura di un frate di nome Concordio che avrebbe dato i primi rudimenti nel IV secolo per la fabbricazione dello stracchino.
Il gorman milanese considera che “la bocca l’é minga stracca se la sa no de vacca”, riprendendo il termine “stracch” nel significato di stanca sazietà del senso del gusto alla fine di un pranzo, concluso con il formaggio. Un buon argomento che arricchisce la cultura della buona tavola, intesa come punto di incontro e di scambio di esperienze di contatti umani, buona tavola dove non possono mancare stracchini e formaggi, protagonisti insostituibili nell’appagamento del gusto, puntualizzando: “Stracchin adree al mur e formagg in mezz a la strada”: modo figurato per indicare che il meglio dello stracchino si trova presso la crosta mentre il meglio del formaggio si trova nel mezzo.
Gianni Staccotti
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E’ una delle bevande più antiche al mondo; la prima giara contenente una sostanza secca riconosciuta come vino, è stata datata intorno al 5100 a. C., quindi oltre 7000 anni fa. L’ipotesi è che il primo vino della storia sia stato prodotto casualmente, nel tentativo di conservare uva che, fermentando in modo naturale, ha dato vita a un prodotto che sarebbe poi diventato tra i più diffusi. Nel nostro Paese una delle zone tradizionalmente vocate alla produzione del vino è la Franciacorta dove, fra tanti produttori, spicca un’eccellenza che si dedica a questa attività da più di mille anni. Si tratta della famiglia Lantieri de Paratico che già nell’antichità serviva il prezioso 'nettare' agli ospiti del suo castello e la storia vuole che Dante Alighieri, nel corso di un soggiorno fra le antiche mura, trovò ispirazione per scrivere le pagine del Purgatorio.
L’attività vitivinicola della famiglia Lantieri de Paratico è testimoniata fin dal XVI secolo, quando la sua produzione di un rosso denominato 'Rubino di Corte Franca' era apprezzato da importanti Corti italiane, tra le quali quella dei Gonzaga a Mantova.
L’azienda di Capriolo si sviluppa in un paesaggio collinare dolce e variegato; la storica struttura sotto il palazzo padronale con le antiche cantine del ’600 si erge accanto a una costruzione più recente che ospita tutte le fasi della vinificazione. Venti ettari di vigneti che magistralmente coltivati attraverso cure quasi maniacali forniscono la materia prima per la produzione di circa 120.000 bottiglie di Franciacorta DOCG e 40.000 di Curtefranca rosso e bianco. A settembre di quest’anno la Cantina Lantieri ha presentato il suo ultimo capolavoro: il Franciacorta Riserva 60 mesi vendemmia 2007.
L’azienda non si distingue nel panorama vitivinicolo solo per l’eccellenza dei suoi vini ma anche per uno spirito ecologico rivolto alla difesa dell’ambiente che l’ha portata, tra le prime realtà a livello nazionale, ad aderire al progetto Ita.Ca (Italian Wine Carbon Calculator), il primo calcolatore italiano condiviso a livello internazionale per misurare le emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera. Secondo le rilevazioni effettuate, l’attività aziendale nel complesso sottrae all’ambiente 250 tonnellate all’anno di CO2. Il 40% dell’energia elettrica necessaria alle lavorazioni viene prodotto attraverso un impianto fotovoltaico e la Lantieri è anche impegnata in un percorso per l’eliminazione dei composti chimici per la concimazione e per le altre fasi della produzione. Tanta tradizione e innovazione non potevano prescindere da uno sguardo verso un futuro rappresentato dalle nuove generazioni che, anche in modo trasversale, possono avvicinarsi al magico mondo del vino.
Per questa ragione l’azienda ha deciso quest’anno di investire sui giovani, attraverso un bando di concorso per la creazione dell’etichetta che 'vestirà' il suo pregiato vino Franciacorta DOCG Lantieri Riserva. A primeggiare su tutti Beatrice Bonato, 21 anni, studentessa del NABA - Nuova Accademia di Belle Arti di Milano e ideatrice della grafica giudicata la migliore tra le 150 proposte presentate. A lei un contributo in denaro e l’orgoglio di vedere un suo lavoro trasformarsi in concreta realtà. “Affidare a una giovane promessa l’idea grafica di un’etichetta che rappresenterà in Italia e nel mondo una delle nostre migliori produzioni - ha commentato Fabio Lantieri - costituisce l’esempio pratico di come si possano valorizzare e incoraggiare i giovani talenti lombardi”. Insomma, un esempio aziendale che meriterebbe di essere seguito da molti altri.
Paola Drera
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Lo zafferano è un prodotto totalmente naturale perché coltivato senza ricorrere all’utilizzo di fertilizzanti, pesticidi o sostanze chimiche. Anche la lavorazione è artigianale; i fiori vengono infatti raccolti a mano uno per uno e, sempre manualmente, vengono staccati i tre stimmi interni alla corolla che sono poi seccati in un forno o in un braciere al fine di sterilizzarli. Al termine della raccolta vengono prodotte 200 tonnellate annue che corrispondono al totale della produzione mondiale media di zafferano. Per ottenere tale quantitativo è necessario raccogliere circa 30 miliardi di fiori! Questo dato, più di ogni altra cosa, può far capire quanto sia laboriosa e faticosa la produzione del cosiddetto, non a caso, “oro rosso”. Ecco perché lo zafferano è un prodotto non economico e che vanta, quindi, così tanti tentativi di imitazione.
Oltre all’artigianalità che caratterizza la raccolta e la lavorazione dello zafferano, non tutti sanno che i terreni in cui vengono posti i bulbi devono essere concimati naturalmente senza ricorrere a fertilizzanti, pesticidi e altre sostanze chimiche che altererebbero le caratteristiche organolettiche del prodotto.
Meglio preferire la polvere in bustina agli stimmi perché si scioglie in modo uniforme e veloce; è pratica da dosare e, grazie alla confezione, conserva più a lungo le sue proprietà organolettiche. Gli stimmi, al contrario, non sono facili da reperire e richiedono un procedimento piuttosto lungo e complicato per l’utilizzo in cucina.
Spesso, inoltre, pistilli vecchi e biancastri, quindi senza sapore, vengono trattati per essere riportati all’originario colore rosso vivo.
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Per iniziare ci hanno illustrato, in una breve introduzione, le caratteristiche dello zafferano.
I principi attivi che donano allo zafferano il suo tipico colore giallo sono la crocetina, la crocina e la picrocrocina, sostanze che fanno parte della famiglia dei carotenoidi, gli antiossidanti naturali per eccellenza. I carotenoidi proteggono l’organismo dall’invecchiamento perché combattono l’azione dei radicali liberi, incrementano le resistenze immunitarie, agiscono come generatori della vitamina A e potenziano l’azione di prevenzione della cancerogenesi. Essi sono diffusi in moltissimi alimenti vegetali, ma mai in una concentrazione così elevata come nel caso dello zafferano di qualità: a parità di peso, infatti, lo zafferano contiene mille volte più carotenoidi rispetto, ad esempio, alle carote. Ecco perchè lo zafferano viene definito Re degli Antiossidanti. Ma c’è di più! La crocina è uno dei pochissimi carotenoidi che si sciolgono nell’acqua per questo la sua assimilazione risulta particolarmente facilitata, così come la sua azione contro i radicali liberi. Lo Zafferano contiene anche altri elementi utili al nostro organismo come le vitamine B1 e B2 e molti aromi naturali. Le prime sono componenti necessari per la crescita, per il metabolismo dei grassi, delle proteine e dei carboidrati, mentre gli aromi naturali hanno benefici eupeptici cioè favoriscono la normale funzione digestiva.
Nella mitologia greca il dio Ermes, consigliere degli innamorati, utilizzava lo zafferano come afrodisiaco per risvegliare il desiderio e l’energia sessuale. Queste virtù si sono tramandate nel tempo. Oggi gli effetti stimolanti dello zafferano sono riconosciuti a livello scientifico. Come afferma il dottor Ottavio Iommelli, direttore del Coordinamento di medicina non convenzionale all’Ospedale San Paolo di Napoli: “Questa spezia ha dimostrato di agire sulle ghiandole surrenali stimolando la produzione di ormoni quali adrenalina, ACTH e cortisolo che tonificano la sfera sessuale”. A ciò si aggiunge che le sue capacità antiossidanti migliorano la circolazione e l’umore. Il colore giallo dello zafferano è da sempre, infatti, sinonimo di benessere, felicità e buonumore tanto da essere utilizzato in cromoterapia nelle situazioni di stress psico-fisico e, sottoforma di estratti, nella cura degli stati depressivi.
E’ una delle spezie più versatili e in cucina lo si può utilizzare nella quotidianità per esaltare il gusto di ogni portata: dall’antipasto fino al dolce. Aggiunto ai piatti di tutti i giorni, senza l’apporto di grassi e quindi con zero calorie, lo Zafferano regala salute, sapore, profumo e, non meno importante, una nota di colore!
E’ consigliabile aggiungere la polvere di Zafferano alle pietanze, stemperandola in poca acqua o brodo caldo, mescolando bene fino a quando non si distribuisce uniformemente e in genere, poco prima di togliere i cibi dal fuoco, perché lo Zafferano è termolabile, ovvero perde parte del suo aroma se rimane per molto tempo a contatto con il calore. Decisamente sbagliata e inutile, invece, la procedura di versare la polvere di Zafferano nell’acqua di cottura della pasta: colore e sapore andrebbero persi una volta scolata. Una volta utilizzato, lo Zafferano avanzato va riposto in un recipiente ermetico e conservato in un luogo fresco al riparo dalla luce e dall’umidità; conservato correttamente si mantiene fino a quattro anni.
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Nelle Terre del Negroamaro, il centro più ricco e più dinamico per la produzione di vino e la fama delle sue cantine è Guagnano, dove su appena 5mila abitanti si contano ben sei grandi cantine.
Il nostro tour inizia dalla dinamica Cantele (www.cantele.it), che nasce dall’amore della settentrionale Teresa Manara, per le terre salentine. Suo marito, Giovanni Battista Cantele, infatti commercializzava il vino del Salento, ma non si sarebbe mai sognato di trasfervisi con tutta la famiglia. Teresa Manara, cui sono dedicate le migliori etichette della cantina, invece, volle vivere nel Salento, dove oggi i suoi quattro nipoti Paolo, Gianni, Umberto e Luisa conducono con successo la cantina, che ha da poco inaugurato 'I Sensi', un laboratorio sinestetico, dove è possibile degustare vino, ascoltare musica, seguire corsi di cucina e dedicarsi alle cose belle della vita, mentre si ammirano dal terrazzo le vaste distese di negroamaro.
Ha iniziato a imbottigliare da pochi anni, ma ha già conquistato i mercati internazionali con le sue etichette top Varale, un igp Salento rosso di negroamaro e Vinea Electa chardonnay la cantina Lucio Leuci (www.vinileuci.it), giunta con Lucio e Francesco alla terza generazione di una famiglia di antiche tradizioni, che si va affermando nel campo dell’enologia mondiale.
Domina i mercati negli Stati Uniti la famosa cantina Taurino (www.taurinovini.it), la cui etichetta principe Il Patriglione, è riconosciuta tra i primi cento vini al mondo. A condurre l’azienda sono gli eredi di Cosimo Taurino, scomparso prematuramente a 58 anni. Destinato dalla sua famiglia a fare il farmacista, ebbe il coraggio di rinunciare a un futuro sicuro in farmacia per imbottigliare il vino sul finire degli anni ’70, contro il volere del padre Francesco, grande esportatore di negroamaro. La qualità delle uve e la sapienza enologica portarono presto i vini Taurino a un grande successo internazionale, facendo in modo che il negroamaro divenisse ambasciatore del Salento e di Guagnano nel mondo.
E’ cultura e arte del vino la cantina Emera del gruppo Magistravini (www.magistravini.it). Il titolare, Claudio Quarta, affascinato dal mondo della viticoltura, ha recuperato nel centro di Guagnano, sulla provinciale per San Pancrazio, una vecchia cantina con palmento. La cantina è stata impreziosita dagli affreschi del famoso artista Ercole Pignatelli e da una collezione di vasi della Magna Grecia, alcuni dei quali in stile Egnatia. “Curata nei minimi dettagli”, dice la general manager Alessandra Quarta, “la nostra cantina punta ad accogliere e avvolgere il visitatore nell’affascinante mondo del vino e nella storia del territorio. Per questo si presta molto bene a visite guidate e degustazioni”. L’etichetta principe Anima di Negroamaro è un Lizzano doc di negroamaro vinificato in purezza, affinato solo in acciaio.
Importante a Guagnano è la realtà della cantina sociale Enotria che come tutte le cantine sociali ha venduto il vino sfuso per anni, approdando solo in tempi molto recenti all’imbottigliamento. “Siamo forti”, dice il presidente, Angelo Scarciglia “della qualità dei nostri vigneti e quindi della nostra uva, unica in tutto il territorio pugliese ed italiano”.
E’ una sfida nata da giovani imprenditori la cantina Feudi di Guagnano, fondata per impedire che i vigneti di negroamaro finissero nell’abbandono. Nero di Velluto, un negroamaro igp vinificato in purezza, è l’etichetta espressione di questo progetto imprenditoriale, premiato dai mercati internazionale. E con l’arrivo dei giornalisti nazionali, la Cantina ha inaugurato un monumento in acciaio dedicato alla Forza del Negroamaro, che simboleggia la forza della Natura stessa, come sottolinea l’amministratore delegato Gianvito Rizzo.
Per chiudere in bellezza il tour delle cantine, è d’obbligo una sosta allo splendido Castello Monaci (www.castellomonaci.
com), una dimora di charme, di proprietà della famiglia Memmo Seracca Guerrieri, che la apre al pubblico “per il piacere di condividere le cose belle con gli altri”. Castello Monaci, una dimora storica, forse un convento, di cui si ha notizie certe solo a partire dal 1600, venne acquistato dal nonno dell’attuale proprietaria, la signora Lina Memmo, nell’800 e adibito a casa di villeggiatura per l’estate. Oggi è stato aperto ai matrimoni e ai convegni e diventerà presto un resort grazie alla realizzazione di dieci ampie camere di charme che saranno pronte per la prossima stagione. Circondato da 200 ettari di vigneti Castello Monaci è anche una cantina del Gruppo italiano vini di cui la famiglia Memmo Seracca Guerrieri è socia. Anzi Vitantonio Seracca Guerrieri segue con particolare cura e passione la cantina, puntando alla valorizzazione dei vitigni autoctoni salentini. E’ dedicato al principe messapico Artas il primitivo igp prodotto dall’azienda e all’eroe greco Aiace il Salice Salentino dop riserva nato dall’abbraccio di negroamaro (80%) e Malvasia nera di Lecce (20%). A Castello Monaci è possibile peraltro assistere e prendere parte alla vendemmia di notte, un’esperienza unica che si completa facendo degustazioni guidate in cantina e visitando il Museo del Negroamaro (foto 4).
Per completare il tour delle cantine imperdibili le tappe golose nei ristoranti di Guagnano Aia Noa e la Favorita.
All’Aia Noa vengono serviti i piatti della tradizione contadina come orecchiette al sugo condite con cacio ricotta che vengono impreziosite dalla carrellata di antipasti a base delle genuine verdure salentine e pesce azzurro. Alla Favorita si celebra l’incontro tra il mare e la terra con i fagioli e le cozze, nonchè le tipiche fave e cicorie.
La sera tappa nel ristorante Il Giardino del Re a Guagnano, che delizia con una carrellata di antipasti della migliore tradizione: ricotte, mozzarelle e formaggi, prodotti nelle vicine masserie, verdure, ortaggi e le indimenticabili polpette di patate salentine condite con la menta.
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Degustazioni, visite guidate, mostre e concerti per la XVI edizione del Festival del Prosciutto di Parma, che dal 6 al 22 settembre ha coinvolto circa 70.000 visitatori con un programma ricco di appuntamenti gastronomici e culturali.
Cuore della manifestazione, l’iniziativa “Finestre Aperte” ha permesso ad un pubblico internazionale di appassionati e curiosi di scoprire da vicino come nasce uno dei prodotti dell’eccellenza agroalimentare italiana: come consuetudine i produttori hanno aperto le porte dei propri salumifici e mostrato ai visitatori il ciclo di lavorazione del Prosciutto di Parma, normalmente non accessibile al pubblico. Grazie al servizio navetta gratuito a disposizione dei turisti, la visita ha permesso di apprezzare anche il paesaggio collinare tipico della zona di produzione e alcuni dei numerosi castelli presenti sul territorio, come quelli di Torrechiara e Varano de’ Melegari.
L’edizione 2013 è stata inoltre l’occasione per celebrare il cinquantesimo anniversario della Corona ducale del Parma. I Portici del Grano, nel centro della città, hanno ospitato una mostra composta da oltre 700 reperti tra immagini, documenti e oggetti che hanno consentito ai visitatori di ripercorrere la storia di tutte le famiglie dei produttori che hanno reso celebre il Prosciutto di Parma. Due esposizione collaterali sono state invece dedicate agli strumenti della lavorazione del Parma e alla storia della pubblicità del Consorzio, con la proiezione degli spot e di altre testimonianze.
Per i 50 anni del marchio più di 100 ristoratori della provincia hanno inoltre aderito all’iniziativa “50 per il Parma” e hanno creato speciali menù a base di prosciutto, partecipando così al concorso che ha visto i clienti votare le ricette più riuscite.
Appuntamento goloso nel centro storico anche con il Bistrò del Prosciutto di Parma, che in 10 giorni ha accolto oltre 2.000 buongustai tra cittadini e turisti proponendo assaggi e degustazioni.
In attesa della prossima edizione del festival, gli appassionati potranno visitare il Museo del Prosciutto e dei Salumi di Parma, realizzato all’interno dell’antico Foro Boario di Langhirano (PR). Aperto sino all’8 dicembre nei weekend e festivi, o su prenotazione per gruppi, il museo propone un percorso che illustra il processo di produzione, dal suino ai salumi, di tutti i tradizionali salumi del parmense.
Francesca Rinaldi
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Il tour enologico parte da San Donaci dove c’è la cantina cooperativa più antica della provincia di Brindisi, la seconda in Puglia. E’ nata 80 anni fa e per brindare ha imbottigliato del buon negroamaro in una confezione speciale dedicata ai suoi primi 80 anni (1933-2013). “Forte dei nostri 400 soci”, dice il presidente, Marco Pagano, “i nostri vini arrivano in tutta Europa e anche negli Stati Uniti. Per anni abbiamo venduto cisterne di negroamaro a compratori di tutta Italia e d’Europa. Adesso lo stiamo imbottigliando conquistando sempre più ampi mercati. La storia del negroamaro, utilizzato per irrobustire e impreziosire i vini più blasonati e oggi imbottigliato dalle cantine del territorio, è la storia del riscatto del popolo salentino”. (www.cantinasandonaci.eu)
Nasce dal matrimonio tra Paolo e Roberta d’Arpa la cantina Paolo Leo (www.paololeo.it). Il quale, contro il volere della moglie, decise di impiegare i soldini ricevuti in regalo (allora 30 milioni) per edificare la nuova cantina e rafforzare in questo modo una tradizione di vignaioli che prendeva le mosse dal suo trisavolo. Oggi la Paolo Leo è arrivata alla quinta generazione e non a caso le etichette principe nascono dai vitigni più importanti del Salento. L’igp Fiore di vigna è un primitivo vinificato in purezza, l’igp Orfeo è un negroamaro, che viene commercializzato solo dopo un anno e mezzo dalla vendemmia.
Storica e di antiche tradizioni è la cantina Candido, nata nel 1929 (www.candidowines.it) a San Donaci, conosciuta al mondo per il suo Cappello di prete, un negroamaro vinificato in purezza, igp e il Duca d’aragona, un blend di negramaro e montepulciano. I nuovi stabilimenti sono attrezzati per le visite guidate, che partendo dalla bottaia e passando per la sala convegni portano all’ampia sala degustazioni, molto frequentata soprattutto da comitive di turisti stranieri.
Ma non ci sono solo le grandi realtà. Si vinifica utilizzando tecniche innovative e tradizionali nell’azienda agricola vitivinicola Lolli (
Tra i vigneti si possono notare poi i grandi ulivi secolari, da cui i circa 300 soci della Cooperativa sociale di San Donaci estraggono l’ottimo olio extravergine di oliva.
A pranzo tappa golosa nel ristorante Antico Melograno (www.anticomelograno.com), che nasce dall’intuizione di Alessandra, sostenuta dalla sua famiglia. Qui c’è un posto a tavola anche per le persone celiache, che possono degustare le stesse pietanze della tradizione contadina, rivisitate da bravi chef: pitta di patate, purè di fave, pettole, parmigiana di melanzane, polpette al sugo... tutte preparate con prodotti a chilometro zero. Da non perdere i ciceri e tria, pasta fatta in casa per metà bollita e per metà fritta condita con i ceci. Tutto da innaffiare con i buoni vini Candido: Porta Falsa, un Salice Salentino dop bianco chardonnay, La Carta, Salice Salentino dop rosso riserva e Paule Calle, un passito che ben si sposa con l’indimenticabile pasticciotto leccese, pasta frolla ripiena di crema.
In giro per cantine
Cantina soc. cooperativa agricola San Donaci
Via Mesagne 62, San Donaci - Tel 0831. 68 10 85
Cantine Paolo Leo
Via Tuturano, 21, San Donaci - Tel. 0831.63 50 73
www.paololeo.it;
Azienda vitivinicola Francesco Candido SpA
Via Diaz, 46, San Donaci - Tel. 0831. 63 56 74
www.candidowines.it;
Azienda agricola vitivinicola Lolli
Via Silvio Pellico, 8, San Donaci - Tel. 0831. 68 12 55
Cantine Baldassarre
Via Catalafimi, 51, San Donaci - Tel. 0831. 09 40 03
www.cantinebaldassarre.it;
Azienda vinicola Cantale
SP 365, Guagnano - Tel. 0832. 70 50 10
www.cantele.it
Cantina Lucio Leuci
Via Villa Baldassarre, Guagnano - Tel 0832. 70 65 00
www.vinileuci.it;
Azienda agricola vitivinicola Eredi Cosimo Taurino
SS 605, Guagnano - Tel. 0832. 70 64 90;
www.taurinovini.it;
Cantina Emera
Via Provinciale 222, Guagnano - Tel. 0832. 70 43 98
www.magistravini.it
Cantina cooperativa Enotria
Via Kennedy, 64, Guagnano - Tel. 0832. 70 60 77;
www.cantinasocialeenotria.it
Cantina Feudi di Guagnano
Via Cellino, 3, Guagnano - Tel. 0832. 70 54 22
www.feudiguagnano.it;
Castello Monaci – Gruppo italiano vini
Contrada Monaci, Salice Sal.no - T. 0831. 66 60 71
www.castellomonaci.com
Andar per ristoranti
Ristorante Antico Melograno
Via Mesagne 29 - 72025 San Donaci (BR)
tel/fax 0831. 68 12 15
www.anticomelograno.com
Ristorante Il Giardino del Re
Via Cellino - 72 010 Guagnano (le)
tel. 377. 47 49 681
Ristorante l’Aia Noa
Via Provinciale 217
Tel 320. 27 97 662; 329 96 43 495
email:
Ristorante pizzeria la Favorita
Via G. Rodari, 1 . 73 010 Guagnano
Tel. 0832. 70 55 00; 339. 42 24 428
www.ristorantefavorita.it
Ristorante da Cosimino
Via Cosimo Albano
Porto Cesareo - Tel. 0833. 56 90 82
www.hotelfalli.com;
Dove dormire
Casa Vacanze I tre ulivi
Via strada / ter km 67.100 Salice Salentino
Franco Cairo 368 637 593 moglie 393 47 29 369
www.itreulivi.jimdo.com
B&B La Favorita di Sisinni Antonio Eugenio
Via Provinciale (primo piano) 165, Guagnano
Tel 0832. 70 55 00; 339. 42 24 428
Email:
www.ristorantefavorita.it
B&B Sogno Salento di Colella Sanfelice Sofia Giovanna
Via Provinciale 217, Guagnano
Tel 320. 27 97 662; 329 96 43 495
email:
B&B Morpheo
via IV Novembre, 18, Guagnano
tel 347 76 58 739 - tel. 0832. 70 46 22, 0832 70 41 85
www.bebmorpheo.it;
B&B Del Corso di Blaco Giuseppe
Via Cellino 111 – 72 025 San Donaci (BR)
338. 94 43 797; 347 01 79 756
B&B L’Aranceto
Via Tripoli 52 – 72 025 San Donaci (Brindisi)
Tel. 0831. 63 55 59 ; 339. 48 74 093
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Salgono al numero record di 4698 le specialità alimentari presenti sul territorio nazionale che sono state ottenute secondo regole tradizionali protratte nel tempo per almeno 25 anni. È quanto emerge da una analisi della Coldiretti sul censimento dei prodotti agroalimentari tradizionali delle regioni nel 2013, aggiornato con la pubblicazione della tredicesima revisione sulla Gazzetta Ufficiale. I prodotti censiti erano 4671 lo scorso anno, ma rispetto al 2000 quando è iniziato il lavoro di catalogazione a livello regionale sono più che raddoppiati quest’anno sotto la spinta - sottolinea la Coldiretti - della forte crescita del turismo enogastronomico in Italia. Secondo una recente indagine Coldiretti per più di un italiano su tre (35 per cento) dipende proprio dal cibo il successo della vacanza che per essere perfetta non deve mai far mancare la degustazione delle specialità enogastronomiche locali. Il cibo infatti - sottolinea la Coldiretti - è considerato l’ingrediente più importante della vacanza che batte la visita a musei e mostre, (29 per cento), lo shopping (16 per cento), la ricerca di nuove amicizie (12 per cento), lo sport (6 per cento) e il gioco d’azzardo (2 per cento).
Per questo l’Italia è leader mondiale nel turismo enogastronomico a livello mondiale con oltre 24 miliardi di euro spesi dai turisti nazionali ed esteri nel belpaese per consumare pasti in ristoranti, pizzerie, trattorie o agriturismi, ma anche per acquistare prodotti tipici, secondo l’analisi della Coldiretti dalla quale si evidenzia che è destinata alla tavola ben un terzo (33 per cento) della spesa di italiani e stranieri in vacanza in Italia. Il mangiare e bere è il vero valore aggiunto delle vacanze Made in Italy e tra tutti gli elementi della vacanza, dall’alloggio ai trasporti, dai servizi di intrattenimento a quelli culturali, la qualità del cibo in Italia - precisa la Coldiretti - è quella che ottiene il più alto indice di gradimento tra i i turisti stranieri e italiani.
Quasi il 10 per cento dei prodotti alimentari tradizionali censiti sul territorio nazionale si trova - sottolinea la Coldiretti - in Toscana dove se ne contano ben 463 ma sul podio sale anche la Campania con 387 specialità e il Lazio con 384. A seguire - precisa la Coldiretti - si posizionano il Veneto (371), il Piemonte con 341 prodotti seguito dall’Emilia Romagna con 307 specialità e dalla Liguria che può contare su 295 prodotti. A ruota tutte le altre Regioni: la Calabria con 269 prodotti tipici censiti, la Lombardia con 246, la Sicilia con 234, la Puglia con 232, la Sardegna con 181, il Molise con 159, il Friuli-Venezia Giulia con 153, le Marche con 150, l’Abruzzo con 147, la provincia autonoma di Trento con 109, quella di Bolzano con 92, la Basilicata con 77, l’Umbria con 69 e la Val d’Aosta con 32.
A prevalere tra le specialità regionali, spesso salvate grazie all’impegno degli imprenditori agricoli nel recupero delle tradizioni, sono - riferisce la Coldiretti - i 1438 diversi tipi di pane, pasta e biscotti, seguiti da 1304 verdure fresche e lavorate, 764 salami, prosciutti, carni fresche e insaccati di diverso genere, 472 formaggi, 174 piatti composto o prodotti della gastronomia, 159 bevande tra analcoliche, liquori e distillati, 155 prodotti di origine animale (miele, lattiero-caseari escluso il burro, ecc.) e 147 preparazioni di pesci, molluschi, crostacei.
Nell’elenco 2013, oltre ad una consistente revisione delle specialità piemontesi, troviamo numerose new entry. Tra queste, in Campania la salsiccia rossa di Castelpoto (nell’impasto di questo insaccato del Beneventano sono presenti, oltre alla carne di maiale “sopranno”, cioè oltre i dodici mesi di età, il peperone sia dolce, sia piccante che conferisce il caratteristico colore rosso), in Emilia-Romagna la bomba di Canossa, un energetico dolce fatto con savoiardi reggiani e farcito con zabaione, in Friuli-Venezia Giulia il miele di Amorfa, derivato da una pianta, l’Amorpha fruticosa, che si trova per lo più nei greti di fiumi e torrenti, in Lombardia la Grappa Riserva Personale, un distillato lungamente invecchiato ottenuto dalla distillazione di pregiate vinacce provenienti da uve di Nebbiolo e Dolcetto e il luccio in bianco (ma c’è anche la versione in salsa) alla rivaltese, la cui caratteristica è che al pesce del Mincio si aggiunge il grana padano Dop grattugiato al momento, in Piemonte il fidighin (o fideghina), una mortadella di fegato cruda, in Puglia il cece nero, in Sardegna il fagiolo tianese (Tiana, nel nuorese, paese di centenari, viene considerata la capitale sarda dei fagioli bianchi pregiati), in Toscana il pecorino delle cantine di Roccalbegna (Grosseto) e nel Veneto la patata di Bolca, un tubero vulcanico dei Monti della Lessinia ottimo per la preparazione degli gnocchi.
L’Italia - conclude la Coldiretti - ha anche il primato europeo nel numero di aziende biologiche e vanta inoltre la leadership nei prodotti riconosciuti a livello comunitario con ben 252 denominazioni di origine sono 331 vini a denominazione di origine controllata (Doc), 59 a denominazione di origine controllata e garantita (Docg) e 118 a indicazione geografica tipica (Igt). (asca)
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